L'ALBERO E LA FORESTA (INTRO PARTE 3)
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Oderso Rubini
La musica è sempre stata specchio fedele della società. “La musica è profezia: è in anticipo sul resto della società, perchè esplora in un dato codice, tutto il campo del possibile più in fretta di quanto possa farlo la realtà materiale. Fa ascoltare il mondo nuovo che, a poco a poco diventerà visibile” (J.Attali). Oggi dobbiamo chiederci se e come sarà possibile uscire dalla zuccherosa melassa globalizzante che sta avvolgendo tutti gli ambiti “culturali”, sempre più condizionati dai mezzi di comunicazione e dal mercato. La musica, “superficie immateriale di registrazione dell’opera degli uomini”, sembra proporci un domani dove sono ben visibili solo i dettagli ‘più o meno banali’, mentre l’insieme a cui riferirli è fuori fuoco. Come se non ci fosse profondità di campo. Come durante la registrazione di un brano musicale, quando capita alle volte di porre un’attenzione quasi maniacale ai singoli strumenti, ricavandone sonorità di per sè bellissime, e poi scoprire che quei suoni, nell’insieme della canzone sono orribili. E’ un problema di relazioni: tra le note e i suoni che compongono una canzone, tra le parole e la punteggiatura di una poesia o un racconto, tra i colori e le luci di una immagine. L’Albero e la Foresta sono la parafrasi di queste relazioni: l’insieme di diversi elementi, il suo sistema di rapporti definiscono quello stato di armonia interiore, di tensione comunicativa che portano all’emozione. Il libro non vuole ‘celebrare’ quel particolare momento di Bologna, ma semplicemente documentarne la singolarità e la complessità. Come se guardassimo la stessa scena da angoli di vista diversi: primi piani, dettagli, campi lunghi, zoomando continuamente avanti e indietro per coglierne i particolari senza mai perdere di vista l’insieme. Documenti e ricordi tra i tanti possibili, per restituere di quel periodo una percezione un po’ più ampia e articolata di quella tradizionalmente nota. Nemmeno vuole suscitare, visto il poco che ci circonda, sentimenti di natura nostalgica (operazione peraltro inutile e sterile), ma piuttosto affermare (oggi più di allora) il bisogno di riconoscere oltre che se stessi, gli altri, di fornire valore all’insieme piuttosto che alle singole identità. Avere una funzione fertilizzante! E’ la foresta che sedimenta l‘humus’ necessario al nutrimento del terreno da cui scaturiranno le idee ‘nuove’, gli alberi nuovi, per una dimensione più ‘naturale’ delle relazioni, del senso di collettività e di appartenenza.

 

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